«Non da oggi – scriveva Secchia - la stampa è un potente strumento di cui si serve la classe dominante per mantenere la sua dittatura. Il grande capitale non domina solo con le banche, i monopoli, il potere finanziario, il tribunale e la polizia, ma con i mezzi quasi illimitati della sua propaganda e della corruzione ideologica [...] Vi fu un’epoca, agli inizi dell’età moderna, fino alle rivoluzioni del secolo XVIII in cui, come ebbe a scrivere Lenin, la lotta per la libertà di stampa ebbe la sua grandezza perché era la parola d’ordine della democrazia progressiva in lotta contro le monarchie assolute, il feudalesimo e la Chiesa. Ma nella fase di decadenza del capitalismo la stampa conservatrice e reazionaria ha perduto ogni senso morale e ogni pudore. Il giornalismo al servizio dei gruppi imperialisti è una forma corrente di prostituzione. Il capitalismo in putrefazione ha bisogno per reggersi di mentire continuamente. La realtà lo accusa: dunque dev’essere falsificata. La fabbrica della menzogna è diventata arte, tecnica, norma di vita»

Riapertura dei Navigli, grande opportunità? E per chi?

Investire 506 milioni per generare interessi “edonici” pare invece un’operazione che non solo contraddice questa pur condivisa logica di sistema, ma introduce nella vita cittadina il sottile veleno di una visione che privilegia rendita a lavoro, patrimonio a reddito, passato a futuro.

Navigli scoperti: quale visione e quali priorità per Milano?

di Giuseppe Ucciero

da Arcipelago Milano

Il Consiglio Comunale ha dato via libera: in primavera si voterà sulla cosiddetta “Riapertura dei Navigli”. Il dibattito pubblico entra nel vivo, anche se non pare esserci lotta tra il peso degli opposti schieramenti. Non tra le idee, però. Si affronta il tema da due punti di vista principali: se sia un’operazione culturalmente, storicamente, urbanisticamente, perfino filologicamente corretta, e se sia una priorità programmatica per Milano.

Vorrei approfondire il secondo approccio e chiedermi, chiederci, se l’investimento pubblico per i “Navigli Scoperti” soddisfi davvero i bisogni strategici di Milano, lo sviluppo e il suo futuro, il benessere e la felicità dei suoi abitanti. Insomma verso quale visione della Milano presente e soprattutto futura lavorano i “Navigli scoperti”?

I progettisti lo dichiarano apertis verbis: l’opera lavora per la rendita immobiliare. L’investimento pubblico genera 826,8 milioni di valori “edonici” a favore dei proprietari degli stabili interessati dall’intervento. Si dice poi il turismo, che dovrebbe trarre vantaggio da una Milano più “leonardesca che pria”, ma gli stessi Boatti e Prusicki ne stimano l’impatto in 168 milioni al massimo, valore peraltro assai ottimistico, e dunque cosa resta infine ai milanesi diversi dai percettori dei “valori edonici”: una passeggiata sulle nuove alzaie? Di questo ha bisogno Milano? Regalare quasi un miliardo di euro a chi è già quantomeno agiato?

E poi, anzi soprattutto, quale processo innovativo, imprenditoriale, tecnologico e sociale, rafforza o mette in moto questo investimento? Quale impatto sui processi di sviluppo, sulla qualità del capitale umano, sulle infrastrutture materiali e immateriali? Quali ricadute ed effetti moltiplicatori sulle risorse materiali e immateriali della città e sulla sua capacità di competere nei prossimi vent’anni? A noi sembrano poche, deboli e non centrali. In filigrana, e neanche poi tanto, si coglie piuttosto una visione del futuro e della stessa identità di Milano fortemente condizionata dal ricordo dell’EXPO e dal desiderio di ripeterne coattivamente la formula di successo, in una logica da evento cartolinesco che già in occasione di Tempo di Libri ha mostrato pesantemente la corda.


In questa prospettiva, i Navigli Scoperti sono immaginati come l’icona di una Milano azzurro – verde, visibile e “attrattiva”, da piazzare sul mercato dei grandi flussi turistici e immobiliari internazionali. È una logica, certamente, ma il dissenso ha ben ragion d’essere.

Lasciamo pure da parte se l’operazione effettivamente sarà in grado di generare un valore aggiunto paesaggistico e una fruibilità all’altezza delle aspettative, o se invece, come si teme fortemente, l’operazione resterà impigliata nelle inevitabili contraddizioni tra i vagheggiamenti della memoria e la concreta realtà urbana dell’oggi e del domani, tema su cui Stefano Boeri ha detto parole sagge e che la Darsena attesta materialmente tutti i giorni.

Più corposo e più centrale mi pare piuttosto ragionare sulla visione di Milano da qui a vent’anni e sulle politiche strategiche che ne dovrebbero sostenere il profilo: l’amministrazione milanese si trova a fare i conti con crisi e politiche per lo sviluppo, disagio sociale diffuso e traiettorie dell’innovazione, cambiamento climatico e carenze abitative, debolezza delle infrastrutture educative e ricerca: molteplici opzioni, su cui fare filtro e scegliere la direzione di marcia, individuando gli ambiti prioritari di investimento.

Mi pare vi sia consenso ampio e diffuso sul fatto che per fare di Milano una metropoli in grado di continuare a esercitare il ruolo di città all’altezza delle sfide globali, servono grandi iniezioni di capitale intellettuale, servizi innovativi, qualità ambientale, coesione sociale, infrastrutture. Servono soprattutto politiche e investimenti capaci di stringer in stretta relazione direttrici di sviluppo e capitale intellettuale e sociale, alimentandone la crescita in un gioco virtuoso, avviando e sostenendo operazioni di ampio respiro e forte impatto come la decarbonizzazione, lo sviluppo delle tecnologie e dei servizi 4.0, la riqualificazione delle infrastrutture materiali e immateriali, fino alla riqualificazione delle periferie, dell’edilizia abitativa e scolastica.

Grandi temi, grandi emergenze, grandi investimenti, che per la loro finalità e la logica intrinseca sono in grado di impattare fortemente e specificamente sulle principali risorse per lo sviluppo sostenibile: capitale intellettuale, coesione socio culturale, grandi reti e infrastrutture della mobilità e della salute.

È più che legittimo dubitare sulla qualità e la qualità dell’impatto che l’investimento “Riapertura dei Navigli”, sarà in grado di generare sui fattori chiave dello sviluppo, che anzi rischiano di restare in disparte, poco o nulla coinvolti. Investire 506 milioni per generare interessi “edonici” pare invece un’operazione che non solo contraddice questa pur condivisa logica di sistema, ma introduce nella vita cittadina il sottile veleno di una visione che privilegia rendita a lavoro, patrimonio a reddito, passato a futuro.

Esistono metodologie per progettare e valutare accuratamente programmi di investimento delle risorse pubbliche, tecniche capaci di dare conto del “ritorno”, anche quando di tratta di valori immateriali e sociali. Sarebbe più che utile farne tesoro, coinvolgere le competenze cittadine necessarie, definire scenari di sviluppo da mettere a confronto, comparare negli effetti e nelle modalità di ingaggio le diverse ipotesi, per approdare a scelte di programmazione pubblica fondate e coerenti con le direttrici dell’innovazione da un lato e le risorse disponibili dall’altro.

Da ultimo, poiché prima dei “Navigli da riaprire” esistono i “Navigli già scoperti”, e poiché siamo i primi a essere convinti che la Bellezza sia un fattore chiave per la crescita economica e il benessere sociale, si potrebbe ben ipotizzare anche un Programma per la valorizzazione dei Navigli esistenti, preziose aste urbanistiche e territoriali di raccordo tra Milano centro, periferie e ricco territorio d’intorno, dotati di grande potenziale di sviluppo, e a costo limitatissimo.

Son titoli d’accordo, se si vuole al momento poco più che suggestioni, ma utili a definire un quadro di ragionamento pubblico, nel quale tutti i soggetti e portatori d’interesse siano chiamati ad indirizzare gli investimenti pubblici verso la Milano Futura, per rafforzare ed accrescere le linee principali del suo sviluppo recente e della sua identità futura: capitale umano, capitale infrastrutturale, capitale sociale, valorizzando i talenti individuali e l’energia sociale, la qualità del vivere civile.

Valutiamone per ciascuno costi e benefici, stimiamo per quanto possibile e ragionevole il ROI (return on investment), e mettiamoli pure a confronto con quelli previsti per la “riapertura dei Navigli”, per quantità e qualità, soprattutto decidiamo su quale logica di fondo investire: sviluppo o rendita.

Al termine, avremo molte più informazioni utili sul modo migliore per spendere 506 milioni per il futuro ed il benessere di Milano.